Avevo 20 anni e una lunga esperienza di percorsi alternativi ai posti di blocco per arrivare al mare in due su un “cinquantino”, ma non ero mai salita su una moto.
Arriva in compagnia un amico sulla sua moto nuova fiammante, tutti intorno a festeggiarlo.
“Mi ci devi portare!” “Sicura?” “S-I-C-U-R-A!!!”. “Dai, sali! Metti i piedi qui e tieniti forte”
Il giorno dopo, lui mi ha raccontato che abbiamo percorso una bella strada in campagna vista mare, piena di curve per “piegare” e con qualche rettilineo per sentirne la potenza. Io non me ne sono accorta: avevo gli occhi chiusi, i muscoli contratti, la salivazione azzerata e il senso del tempo dilatato. Sono scesa, ancora molto scossa, e gli ho chiesto: “Che moto è? così tra 20 anni lo scrivo sul mio blog!”
Se non stiamo attenti, può succedere anche con il Paziente. Al primo colloquio già sappiamo dove vogliamo che la terapia ci porti, a tutta velocità e naturalmente guidiamo noi terapeuti. Gli proponiamo questa moto lucidissima e velocissima, già accesa e rombante, ma lui tentenna, fa mille domande, non sale.
Non abbiamo concordato con lui gli obiettivi e il percorso, non abbiamo rispettato i suoi tempi e non c’era spazio per lui al volante: ha fatto bene a non salire!
Se il Paziente ha bisogno di andare più vicino, magari in bicicletta, inserendo le sue tappe personali, teniamo lo sguardo fisso sulla meta concordata e accompagnamolo in questo suo viaggio, arriviamoci insieme.
Per gli appassionati, la moto era una Brutale. Se il nome non avesse rispecchiato esattamente i miei insulti mentali, non me lo ricorderei!
Se il Paziente ha bisogno di andare più vicino, magari in bicicletta, inserendo le sue tappe personali, teniamo lo sguardo fisso sulla meta concordata e accompagnamolo in questo suo viaggio, arriviamoci insieme
Michela
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